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Sulla prosa radio

Gli scrittori riscoprono l’arte del radiodramma

Il sito Radiodrammi.it viene citato in un articolo del quotidiano La Repubblica (del 25/10/2010)… I grandi scrittori si sono cimentati nella scrittura di radiodrammi che conoscono oggi una nuova stagione dopo un periodo di trascuratezza.Il Radiodramma fu un genere tra i più popolari della radio nel quale si tentarono anche audaci sperimentazioni. Due cose che difficilmente convivono ma che il radiodramma, qualche volta, è riuscito a tenere insieme.

Fra le iniziative che Radio3 ha avviato per festeggiare i suoi sessant’anni c’è un ciclo curato da Laura Palmieri e Lorenzo Pavolini: quattro lavori teatrali sul tema della radio commissionati ad altrettanti scrittori. Giosuè Calaciura e Chiara Valerio sono autori, rispettivamente, di Un’altra Storia, Scene grottesche da un attentato e È vostra la vita che ho perso […]. Carlo D’Amicis e Nicola Lagioia sono invece autori di Custodi alla memoria e di Spazio Lumière […]

Marino Sinibaldi ha concepito i radiodrammi quasi come un caso estremo di dove la radio può spingersi, restando radio. E cioè, spiega il direttore di Radio3, «si è utilizzato un genere in cui si lavora sul linguaggio, sulla parola, sulle sonorità». Il radiodramma «è narrativamente coinvolgente, costruito a tavolino e non è fondato sulla diretta. Riesce a catturare l’attenzione per un lasso di tempo che va dai 30 ai 40 minuti. Cosa che la radio ancora può fare in un ambiente in cui domina una specie di Wi-fi generalizzato, con tantissime fonti che emettono parole e musica».

I radiodrammi sono testi teatrali pensati e scritti per la radio. Pochi personaggi, dialogo fitto, rumori. Regia accurata. Una narrazione che scaturisce dalla parola e si nutre di evocazioni. La musica, quasi sempre contemporanea, che diventa elemento costruttivo e non solo sfondo. Calaciura immagina la chiacchierata di due mafiosi che stanno per far esplodere l’auto di un giudice. Le loro parole sono accompagnate da un concerto di Mozart trasmesso da una radiolina. Valerio ambienta il colloquio fra una psichiatra e una sua paziente il giorno del sequestro Moro. D’Amicis mette in scena Ninetto e il Sor Maestro, i due personaggi di Uccellacci e uccellini, e gli affida la custodia della memoria radiofonica. Lagioia, infine, racconta di uno speaker travolto dall’ebbrezza che gli dà il microfono.

Fellini per Eiar
Fellini al lavoro per la Radio in Eiar (1940-42)

Nel passato hanno lavorato ai radiodrammi grandi scrittori, ma anche registi, musicisti e attori di prim’ordine (i loro nomi si trovano nel sito www.radiodrammi.it).

In Inghilterra ne hanno scritti Samuel Beckett, Harold Pinter, Tom Stoppard. In Francia Antonin Artaud, Raymond Queneau, Marguerite Duras. In Germania Bertolt Brecht, Max Frisch, Friedrich Dürrenmatt e Peter Handke. In Italia si comincia nel 1927, tre anni dopo la nascita dell’Uri (Unione radiofonica italiana) che poi sarebbe diventata Eiar e quindi Rai. Il 18 gennaio di quell’anno va in onda Venerdì 13 di Mario Vugliano ambientato nel Medioevo. La scena si svolge nel Canavese, dove l’autore, giornalista della Perseveranza e amico di Guido Gozzano, era nato. Non si sa quante persone fossero in ascolto, ma allora gli utenti complessivi della radio erano 30 mila. Nel 1929 è la volta di una radiofarsa, L’anello di Teodosio di Luigi Chiarelli, che per alcuni è il vero primo radiodramma. Spiccano nel decennio successivo un Achille Campanile autore di L’inventore del cavallo (1938) e Tullio Pinelli con Pegaso (1938). Nel 1940 esordisce con un radiodramma un giovane riminese che fa vignette per il Marc’Aurelio. Ha vent’anni, si chiama Federico Fellini. Il suo primo testo s’intitola Il cerino, il secondo L’ometto allo specchio.

Seguirà, nel 1942, Di notte le cose parlano, che approfondisce le risorse di questa nuova forma di spettacolo. È un lavoro sui rumori: una notte qualunque, in cui non accade nulla un uomo, anzi un ometto, è attratto e spaventato dai suoni che si diffondono nel silenzio, i passi, i tarli, le gocce d’acqua… Fellini scriverà altri testi, fino al 1945.

La radio diventa occasione di lavoro per molti scrittori attratti a Roma. Insieme ai testi di Gino Pugnetti, di Arnaldo Boscolo, di Lorenzo e Ugo Bosco (che nel 1956 scrivono Le 99 disgrazie di Pulcinella, regia di Francesco Rosi), troviamo i tanti lavori di Diego Fabbri e poi Una donna uccisa per deduzione di Carlo Fruttero (1953), La scacchiera davanti allo specchio di Massimo Bontempelli (1955), uno stranissimo Atene e Roma a teatro del latinista Ettore Paratore (1955), Un caso clinico di Dino Buzzati (1956).
La galleria si arricchisce negli anni successivi: Giuseppe Dessì, Elena Croce, Primo Levi, Raffaele La Capria, Tommaso Landolfi, Luigi Malerba, Elio Pagliarani, Roberto Lerici, Ennio Flaiano, Maria Luisa Aguirre, Italo Alighiero Chiusano. Fra i registi Anton Giulio Majano, Alberto Casella, Sandro Bolchi. E Andrea Camilleri.

Uno dei periodi più vivaci si apre negli anni Settanta. «Artefici di tante commissioni sono Sandro D’Amico e Lidia Motta», ricorda Roberta Carlotto, allora funzionaria della Rai, poi direttrice di Radio3. «Si avviano sperimentazioni registiche, in collaborazione con lo Studio di Fonologia di Luciano Berio e Bruno Maderna. Il protagonista di questo rinnovamento è Giorgio Pressburger». Tante regie sono firmate da Vittorio Sermonti. Irrompe il teatro d’avanguardia, le voci sono deformate attraverso il rumore e «talvolta non si distingue cosa sia musica e cosa suono di parole». In questo stesso contesto nascono le Interviste impossibili (Italo Calvino, Giorgio Manganelli, Alberto Arbasino…).

Dopo di allora il genere è andato rarefacendosi, ricorda Roberta Carlotto. Nei primi anni Novanta si compiono sperimentazioni con testi e musica elettronica (fra gli scrittori: Paola Capriolo, Antonio Tabucchi, Daniele Del Giudice, Stefano Benni; fra i musicisti Michele Dall’Ongaro, Gilberto Bosco). Dopo il Duemila si realizzano cicli curati da Mario Martone e Lorenzo Pavolini. Ora si ricomincia. «Una volta», dice Sinibaldi, «il tempo per ascoltare la radio era più compatto, si prolungava dopo il lavoro, ora è frammentato, è un tempo di interstizi». Ci si proverà a occuparlo anche con questo genere di parola, rumori e musica.

(articolo da La Repubblica, del 25/10/2010 – R2 Cultura)