Un secolo fa la nascita dell’artista mezzosoprano Fedora Barbieri. Il debutto nel ‘40, i successi, la vita e tante iniziative per celebrarla nel 2020. Suo figlio Ugo Barlozzetti è intervistato dal Corriere Fiorentino.
Fedora Barbieri aveva una voce dal colore brunito e un temperamento, sulle scene, fuori dal comune tanto era intensamente vissuto sulla propria pelle.
A cento anni dalla nascita, avvenuta il 4 giugno a Trieste (ma Firenze fu la città dove visse fino alla morte, nel 2003), rimane ancora oggi una leggenda del canto.
(…) Ugo Barlozzetti, figlio della Barbieri, storico dell’arte e presidente del Gruppo Donatello di Firenze è l’anima delle celebrazioni per questo centenario.
«D’intesa con il Comune di Firenze, grazie all’interessamento della vicesindaca Cristina Giachi, – afferma Barlozzetti – le verrà intitolato un largo in prossimità del viale interno che porta al Teatro del Maggio e apposta una targa commemorativa sulla casa, in via Il Prato 29, che mia madre abitò per tanti anni. Ci sarà una cerimonia-concerto per presentare la collocazione del pianoforte Bechstein, a lei appartenuto, negli spazi del Cherubini. Con il Maggio stiamo ragionando di realizzare un cd con materiali tratti dal loro archivio di registrazioni. E poi ci sono i progetti per una mostra fotografica corredata di ascolti dalle registrazioni ufficiali e live, e una serie di convegni, a Firenze, Trieste, Orvieto. Insomma, tante iniziative, che sarebbe ideale poter presentare intorno al 4 novembre il giorno della nascita artistica di Fedora Barbieri».
È proprio nel 1940 che la Barbieri calca, a poco più di 20 anni e per la sua prima volta il palcoscenico. Al Comunale canta Fidalma, nel Matrimonio segreto di Cimarosa. Il giorno subito dopo si trova a sostituire la celebre Gianna Pederzini: la sua Azucena, nel Trovatore di Verdi, è un trionfo.
I giornali parlano di vera rivelazione. Carriere strepitose non di rado nascono così, per una semplice sostituzione.
«Azucena era una figura che la mamma sentiva vicina alle sue corde espressive – racconta Barlozzetti – la viveva in maniera molto profonda. Lei era, in realtà, legata a gran parte dei personaggi verdiani, anche se aveva pure una particolare affinità con Carmen. Il suo repertorio era del resto molto vasto, andava da Monteverdi ad Henze, anche come interprete di prime assolute».
Da Firenze partì la sua carriera: di lì a poco venne chiamata da De Sabata, poi da Toscanini, che la vollero per quello che diventerà un suo cavallo di battaglia, il Requiem di Verdi.
Abbado, Karajan, Prêtre, furono gli altri direttori con i quali lavorò Fedora. Ponnelle, Strehler, Visconti, Zeffirelli furono i registi. Fu applaudita alla Scala, al Metropolitan, al Covent Garden, nei maggiori teatri del mondo.
Nel 2000, diede l’addio alle scene a Firenze, rivestendo per l’ultima volta i panni di una toccante Mamma Lucia, nella Cavalleria rusticana diretta da Bruno Bartoletti. Aveva 80 anni, 60 quelli di carriera, più di 100 i ruoli interpretati.
«Era sempre in giro per il mondo – racconta Barlozzetti – i mei ricordi di lei da bambino sono legati soprattutto all’estate e ai periodi natalizi: era affettuosa, teneva molto all’educazione di noi figli. La vita in famiglia le piaceva, così come le piaceva la convivialità con gli amici: amava cucinare per loro, guai se qualcuno voleva sostituirla ai fornelli».
Ed era la cucina della tradizione della sua Trieste: parecchio pesce e piatti tipici, come la porcina alla triestina, parti di maiale bollite e accompagnate da una salsa di rafano.
«Si sentiva fiorentina, ma non dimenticò mai le sue origini: con Maria Callas era solita parlare in dialetto triestino, affine a quello veneto (la Callas aveva sposato Meneghini, industriale veneto ndr)».
A documentare l’arte di Fedora Barbieri rimangono oggi tante registrazioni. Ma qual è l’eredità artistica lasciata alle successive generazioni? «L’attenzione alla parola dei testi cantati, la capacità di sottolinearne il significato, e la cura della recitazione», risponde Barlozzetti.
Un insegnamento che aveva fatto suo fin dagl’inizi, quando Toscanini non si stancava mai di ripeterle: «Ricordati, Fedora, la parola: deve essere sempre come scolpita nel bronzo».
Corriere Fiorentino, 7 giugno 2020
Francesco Ermini Polacci